Vision

È da diversi anni ormai che...


l’espressione “economia basata sulla conoscenza*” è entrata a far parte del nostro vocabolario. Con essa si è soliti riferirsi a nuova fase economica caratterizzata da un considerevole ricorso a “capitale immateriale”. Mentre cioè nei periodi precedenti lo sviluppo e la crescita economica dipendevano soprattutto dall’impiego di “capitale materiale”, il raggiungimento di questi stessi obiettivi tende invece oggi ad essere sempre più in relazione alla conoscenza. È importante sottolineare che conoscere non significa semplicemente disporre di informazioni. Bisogna infatti distinguere tra il possesso di dati e la capacità di saperli trattare, interpretare e usare per i propri scopi: è quest’ultima abilità, che possiamo chiamare cognitiva, quella che sta alla base dell’attuale momento economico.

* Su questo tema si vedano, ad esempio: Foray D., L’economia della conoscenza, Il Mulino, Bologna 2006; Rullani E., Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti, Carocci, Roma 2004; Deiana A., Il capitalismo intellettuale, Sperling & Kupfer, Milano 2007.


La centralità della conoscenza...


resa ancora più marcata dall’avvento delle ICT (Information and Communication Technology), ha portato a profondi mutamenti del sistema. Oggi le conoscenze viaggiano veloci, cambiano continuamente e sono sempre più specialistiche. Per sopravvivere, le imprese devono essere in grado di farle proprie, così da potersi innovare costantemente: in questa fase, infatti, «la maggior parte del valore viene generato [proprio] dall’innovazione, cioè dall’uso creativo della conoscenza attraverso il suo dispiegamento in tutte le fasi della produzione economica»*. Fondamentale però è importante non cadere nell’errore di associare l’innovazione esclusivamente alla creazione di nuovi prodotti, dal momento che esistono tutta una serie di cambiamenti che, anche se poco tangibili, possono essere estremamente radicali: possono essere tali un mutamento nella struttura organizzativa, oppure una nuova forma di commercializzazione dei prodotti o, ancora, lo sfruttamento di nuovi mercati.

* Deiana A., Il capitalismo intellettuale, cit., p. 13.


Intesa in questo senso “ampio”, l’innovazione...

all’interno di un’impresa è un processo profondamente influenzato dal sistema sociale all’interno del quale essa è situata. Tale sistema comprende, ad esempio, istituzioni politiche locali e interregionali, che con le loro scelte possono favorire o meno le strategie imprenditoriali, istituzioni formative ed educative, che rappresentano per eccellenza i luoghi di nascita e di sviluppo della conoscenza, e, soprattutto, istituzioni economiche, che con il loro operare generano conoscenze alle quali può attingere, in forme e misure differenti, un’intera comunità. È dunque possibile sostenere che nell’era della conoscenza, o, come la definisce Jeremy Rifkin, nell’era dell’accesso[3], il processo di innovazione tende ad avere origine e svilupparsi in modo reticolare piuttosto che lineare. Una caratteristica questa che, lo vedremo tra breve, può diventare fondamentale se promossa e sviluppata nel contesto italiano delle pmi.

 

* Rifkin J., The Age Of Access: The New Culture of Hypercapitalism, Where All of Life Is a Paid-For Experience, Putnam Publishing Group, New York 2000, tr. It., L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy (2001), Oscar Mondadori, 2007. Scrive ad esempio Rifkin: «per tutta l’era moderna, proprietà privata e mercati sono stati sinonimi; anzi, la stessa economia capitalistica è fondata sull’idea di scambio di beni in liberi mercati … . Nella nuova era, invece, i mercati stanno cedendo il passo alle reti e la proprietà è progressivamente sostituita dall’accesso …» (pp. 5-6).

Le pmi e l’impresa cooperativa nell’era della conoscenza...

Se la parola d’ordine per molte delle imprese che oggi vogliono stare nel mercato è “innovazione costante”, allora la prima prestazione che esse devono fornire «è la capacità di interpretare il nuovo e il sorprendente, metabolizzando e industrializzando le innovazioni senza troppi attriti»*. A tal fine, esse devono investire in tutti quei canali di accesso alla conoscenza (tecnologica, legale, gestionale, comprensione dei meccanismi comportamentali e motivazionali…) fondamentali alla propria vita economica.

* Rullani E., Economia della conoscenza, cit., p. 48.

Investire in conoscenza è costoso, e in contesti caratterizzati da imprese di piccole o medie dimensioni questo fatto può costituire un ostacolo difficilmente superabile. È questo il caso, ad esempio, delle pmi italiane. Se una grande impresa può avere a diposizione le risorse umane, organizzative e finanziarie sufficienti a gestire all’interno di sé stessa il processo di innovazione, una piccola o media impresa spesso non dispone delle stesse risorse. La portata innovativa di quest’ultima dipende piuttosto dalla sua capacità di essere in relazione dinamica con il sistema sociale in cui si trova ad operare: con la capacità, quindi, di fare rete con altre istituzioni e di essere prontamente recettiva verso le nuove conoscenze che da tale collaborazione possono liberarsi. Come osserva Enzo Rullani, «nell’era della conoscenza, è diventato evidente il fatto che crescita economica e posizionamento competitivo dipendono … ad esempio dalla quantità e qualità dei processi di apprendimento realizzati; dalla possibilità di accedere alle conoscenze distribuite in reti ampie e affidabili di specialisti esterni e parterns strategici; e, infine, dalla capacità di propagare, in bacini di uso sempre più ampi, le conoscenze possedute, estraendone, alla fine, il massimo valore possibile»*.

* Rullani E., Economia della conoscenza, cit., p. 43.

 

La sfida dunque, per la pmi, ed in particolare l’impresa cooperativa è quella di riuscire ad attivare un circolo virtuoso di relazioni tra istituzioni che possa alimentare un vantaggioso processo di conoscenza-innovazione*. In quest’ottica è possibile guardare con interesse alle società di liberi professionisti. Considerata la loro struttura, quest’ultime possono infatti fungere da connettore tra diversi soggetti economici, rispondendo in modo efficiente ai loro bisogni e alle loro richieste. In proposito, vorremmo proporre una breve riflessione sulle cosiddette “cooperative del sapere”, un’esperienza su cui Legacoop ha già ormai da diverso tempo posto la propria attenzione. La cooperativa, infatti, è una forma societaria che può riuscire a rispondere in modo adeguato non solo alle esigenze delle imprese ma, nello stesso tempo, anche a quelle dei professionisti associati**.

 

* Sull’importanza, anche a livello globale, di espandere la cooperazione interistituzionale si veda, ad esempio: Sen A. K., Democrazia cooperativa e globalizzazione, relazione tenuta a Bologna il 27 ottobre 1998 nel corso di un Work Shop organizzato da Legacoop nazionale, pubblicata in Libertà e cooperazione. Storia e attualità della cooperazione in Italia, «Il Ponte», Anno LVI, nn.11-12 (nov./dic. 2000), in particolare le pp. 110-112.

 

** Per approfondire il tema delle cooperative del sapere si vedano: Legacoop Bologna (a cura di), Cogito ergo coop. Cooperazione e professioni, Kitchen, Bologna 2008 (scaricabile gratuitamente dal sito internet: www.legacoop.bologna.it); Legacoop e CIU (a cura di), Le cooperative del sapere. La nuova frontiera delle professioni intellettuali, Edizioni Cooperative s.c.a.r.l., Roma 2009 (scaricabile gratuitamente dal sito internet: www.legacoop.it); Convegno Legacoop, Professionisti in cooperativa. La riforma delle professioni intellettuali, 20 novembre 2007 (audio gratuitamente ascoltabile al sito internet: www.radioradicale.it.).